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storia della decadenza |
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manente ai facoltosi Romani. Il medinno, ossia la quinta parte di un sacco di grano, si permutava contro sette monete d’oro; e se ne davano sino a cinquanta quando trovavasi un bue; i progressi della carestia accrebbero ancora questi esorbitanti prezzi, e l’avarizia dei mercenari spesso giungeva a privarsi della porzione loro assegnata, che appena era bastante per sostentarne la vita. Un’insipida e mal sana mistura, in cui la crusca superava tre volte la quantità della farina, faceva tacere la fame dei poveri; essi a poco a poco si ridussero a cibarsi di cavalli morti, di cani, di gatti, di sorci, ed avidamente schiantavano le erbe ed anche le ortiche che crescevano fra le rovine della città. Una folla di pallidi e maceri spettri, oppressi il corpo dalle malattie e l’animo dalla disperazione, attorniò il palazzo del Governatore, gli rappresentò con utile verità che il padrone aveva l’obbligo di mantenere i suoi schiavi, ed umilmente richiese ch’egli provvedesse alla sussistenza loro, o permettesse che uscissero dalla città, ovvero ordinasse l’immediato loro supplizio. Bessa, con insensibile calma, rispose che egli non poteva nutrire, non gli conveniva di lasciar partire, e non aveva il diritto di uccidere i sudditi dell’Imperatore. Non pertanto, l’esempio di un cittadino privato avrebbe potuto mostrare a’ suoi compatriotti che un Tiranno non può togliere il privilegio di morire. Trafitto dalle grida di cinque figli che vanamente dimandavan del pane, egli ordinò a questi che gli venissero dietro; si avanzò, con tranquilla e tacita disperazione, sopra uno dei ponti del Tevere, e copertosi il volto, si gettò capovolto nel fiume, al cospetto della sua famiglia e del Popolo romano. Ai ric-