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462 | storia della decadenza |
furono solo ambiziosi di sottomettersi a Belisario. Ma l’inflessibile di lui fedeltà rigettò di accettare, in altra qualità che di delegato di Giustiniano, i loro giuramenti d’omaggio; e non si offese del rimprovero dei loro deputati, ch’ei volesse piuttosto essere schiavo che Re.
Dopo la seconda vittoria di Belisario, di nuovo sussurrò l’invidia, a cui Giustiniano diè orecchio, e l’Eroe fu richiamato. „Quel che restava della guerra Gotica (si disse) non era più degno della sua presenza; il grazioso Sovrano era impaziente di premiare i suoi servigi, e di consultarne la saviezza, ed ei solo era capace di difender l’Oriente contro le innumerabili armate della Persia„. Belisario conobbe il sospetto, accettò la scusa, imbarcò a Ravenna le sue spoglie e trofei, e con la sua pronta ubbidienza provò, che tale improvvisa remozione dal governo d’Italia non era meno ingiusta di quel che avrebbe potuto essere imprudente. L’Imperatore ricevè con onorevole cortesia tanto Vitige, quanto la sua più nobil consorte; e siccome il Re de’ Goti uniformossi alla fede Atanasiana, ottenne insieme con un ricco appanaggio di terre nell’Asia il grado di Senatore e di Patrizio1. Ogni spettatore ammirava senza pericolo la forza e la statura de’ giovani Barbari: essi adoraron la maestà del Trono, e promisero
- ↑ Vitige visse due anni a Costantinopoli ed Imperatoris in affectu convictus (ovvero coniunctus) rebus excessit humanis. Matasueuta, sua Consorte, che fu moglie e madre de’ Patrizi, Germano il Vecchio, ed il Giovane, unl il sangue Anicio con quello degli Amali. (Jornand, c. 60 p. 221 presso il Muratori Tom. I).