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dell'impero romano cap. xli. |
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preziosa furon lasciate a’ Borgognoni; e le case, o almeno le mura di Milano furono livellate al suolo. I Goti negli ultimi loro momenti, si vendicarono con la distruzione d’una Città, che non cedeva che a Roma nella grandezza ed opulenza, nello splendore delle sue fabbriche, o nel numero degli abitanti: ed il solo Belisario compatì il destino degli abbandonati e devoti suoi amici. Teodeberto medesimo, incoraggito da questa fortunata scorreria, nella seguente primavera invase le pianure d’Italia con un’armata di centomila Barbari1. Il Re, ed alcuni suoi scelti seguaci erano a cavallo, ed armati di lance: l’infanteria, senz’archi nè picche, si contentava d’uno scudo, d’una spada, e d’una scure da guerra a due tagli, che nelle lor mani era un’arme mortale, che non cadeva mai in fallo. L’Italia tremò al muovimento de’ Franchi; e tanto il Principe Goto, quanto il General Romano, ignorando del pari i loro disegni, sollecitarono con speranza e terrore l’amicizia di questi pericolosi alleati. Fino a tanto che non si fu assicurato del passaggio del Po sul ponte di Pavia, il nipote di Clodoveo nascose le sue intenzioni, che alla fine dichiarò, assaltando, quasi nel medesimo istante, i campi ostili de’ Romani e de’ Goti. Invece d’unire insieme le loro armi, essi fuggirono con ugual precipitazione, e le fertili quantunque desolate Province della Liguria e
- ↑ Oltre Procopio, forse troppo Romano, vedansi le Croniche di Mario, e di Marcellino, Giornandes (in success. regn. presso il Muratori Tom. I pag. 241), e Gregorio di Tours (L. III c. 32 nel Tom. II degl’Istorici di Francia). Gregorio suppone una disfatta di Belisario, che presso Aimoino (De Gestis Franc. L. II c. 23 nel Tom. III p. 59) è ucciso da’ Franchi.