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cata; e conservate fedelmente la preda per farne un uguale e comune riparto. Non sarebbe ragionevole, soggiunse con un sorriso, che mentre noi travagliamo per distruggere i calabroni, i nostri più fortunati fratelli portassero via e godessero il miele„.

S’era unita tutta la Nazione degli Ostrogoti per l’attacco di Roma, e restò quasi tutta consumata nell’assedio di questa Città. Se qualche fede si dee prestare ad un intelligente spettatore, fu distrutto almeno un terzo dell’enorme loro esercito ne’ frequenti e sanguinosi combattimenti seguiti sotto le mura di essa. Alla decadenza dell’agricoltura e della popolazione potevano già imputarsi la cattiva fama, e le perniciose qualità dell’aria della state; ed i mali della carestia e della pestilenza furono aggravati dalla propria loro licenza, e dalla non amichevol disposizione del Paese. Mentre Vitige combatteva con la sua fortuna, mentre stava dubbioso fra la vergogna e la rovina, le domestiche vicende ne accelerarono la ritirata. Il Re de’ Goti fu informato da tremanti messaggi, che Giovanni il sanguinario estendeva la devastazione di guerra dall’Appennino fino all’Adriatico; che le ricche spoglie e gl’innumerabili schiavi del Piceno erano dentro le fortificazioni di Rimini; e che quel formidabile Capitano avea disfatto il suo zio, insultato la sua Capitale e sedotto, per mezzo di una segreta corrispondenza, la fedeltà dell’imperiosa figlia d’Amalasunta, sua moglie. Pure avanti di ritirarsi, Vitige fece un ultimo sforzo d’assaltare o di sorprendere la Città: fu scoperto un segreto passaggio in uno degli acquedotti; s’indussero due cittadini del Vaticano per mezzo di doni ad inebriare le guardie della porta Aurelia; fu meditato un attacco sulle mura di là dal Tevere