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430 | storia della decadenza |
tenne il suo posto avanti degli altri, finattantochè non rimase trafitto da tredici ferite, per mano forse di Belisario medesimo. Il Generale Romano era forte, attivo e destro; da ogni parte scagliava i pesanti e mortali suoi colpi; le fedeli sue guardie ne imitarono il valore, e ne difesero la persona; ed i Goti, dopo una perdita di mille uomini, fuggirono innanzi alle armi d’un Eroe. Furono temerariamente inseguiti fino al lor campo, ed i Romani, oppressi dalla moltitudine, fecero una lenta ed alla fine precipitosa ritirata verso le porte della Città, le quali si chiusero in faccia de’ fuggitivi; ed il pubblico terrore s’accrebbe dalla notizia, che Belisario era stato ucciso. Era in vero sfigurato il suo aspetto dal sudore, dalla polvere, e dal sangue; rauca n’era la voce, e quasi esausta la forza; ma tuttavia gli restava l’invincibile suo coraggio: ei lo partecipò agli abbattuti compagni; ed il disperato loro ultimo sforzo si sentì da’ Barbari, posti nuovamente in fuga come se fosse uscito dalla Città un altro vigoroso ed intero esercito. Fu aperta la porta Flamminia ad un vero trionfo; ma non potè Belisario esser persuaso dalla moglie e dagli amici a prendere il necessario ristoro di cibo e di sonno, prima d’aver visitato ogni posto, e provveduto alla pubblica sicurezza. Nello stato più perfetto dell’arte della guerra, è raro che un Generale abbia bisogno, o che anche gli sia permesso di mostrare la personal sua prodezza di soldato; e può aggiungersi quello di Belisario a’ rari esempi di Enrico IV, di Pirro e d’Alessandro.
Dopo questo primo ed infelice sperimento de’ nemici, tutto l’esercito dei Goti passò il Tevere e formò l’assedio della Città, che continuò più d’un anno, fino