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dell'impero romano cap. xli. |
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polo di Platone spargere il sangue di più migliaia di uomini per una sua privata contesa; ma il successore d’Augusto dovrebbe rivendicare i suoi diritti, e ricuperare con le armi le antiche Province del suo Impero„. Questo ragionamento non è per avventura molto convincente, ma servì per mettere in agitazione e per vincer la debolezza di Teodato, che tosto discese all’ultima sua offerta di rinunziare per il meschino prezzo d’una pensione di quarantottomila lire sterline il Regno de’ Goti e degl’Italiani, e d’impiegare il resto de’ suoi giorni negl’innocenti piaceri della filosofia e dell’agricoltura. Affidò ambedue i trattati all’Ambasciatore, sulla fragile sicurezza d’un giuramento di non manifestare il secondo, finattantochè non si fosse positivamente rigettato il primo. Se ne può facilmente prevedere l’evento. Giustiniano richiese ed accettò l’abdicazione del Re Goto. L’instancabile suo agente da Costantinopoli tornò a Ravenna con ampie istruzioni, e con una bella lettera, che lodava la saviezza e generosità del Reale Filosofo, gli accordava la pensione, con assicurarlo di quegli onori, dei quali poteva esser capace un suddito Cattolico, e prudentemente fu commessa la finale esecuzion del Trattato alla presenza ed autorità di Belisario. Ma nel tempo che restò sospeso, due Generali Romani, che erano entrati nella Provincia di Dalmazia, furon disfatti ed uccisi dalle truppe Gotiche. Teodato, da una cieca ed abbietta disperazione, capricciosamente passò ad una presunzione senza fondamento e fatale<ref name=pag425>Si produceva un oracolo sibillino, che diceva Africa capta, mundus cum nato peribit; sentenza di portentosa ambiguità (Gothic. l. I c. 7), che fu pubblicata in caratteri<ref>, ed