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dell'impero romano cap. xli. | 417 |
sionare, e di sprezzare. Ottomila ribelli tremarono all’avvicinarsi di esso; furono messi in rotta al primo incontro dalla destrezza del loro Signore; e questa ignobil vittoria restituito avrebbe la pace all’Affrica, se il Conquistatore non fosse stato richiamato in fretta nella Sicilia per quietare una sedizione, che si era accesa durante e la sua assenza nel proprio Campo1. Il disordine e la disubbidienza erano le malattie comuni di que’ tempi. Non risedevano che nell’animo di Belisario il talento per comandare, e la virtù di obbedire.
[A. 534-536] Quantunque Teodato discendesse da una stirpe di Eroi, non sapeva l’arte della guerra, e ne abborriva i pericoli; e quantunque avesse studiato gli scritti di Platone e di Tullio, la Filosofia non fu capace di purgare il suo spirito dalle più basse passioni dell’avarizia e del timore. Egli aveva comprato uno scettro per mezzo dell’ingratitudine e dell’uccisione: e alla prima minaccia d’un nemico, avvilì la propria maestà, e quella di una Nazione, che già sprezzava il suo indegno Sovrano. Sorpreso dal fresco esempio di Gelimero, si vedeva tratto in catene per le strade di Costantinopoli; l’eloquenza di Pietro, Ambasciator Bizantino accrebbe i terrori, che ispirava Belisario; e quell’audace e sottile Avvocato lo persuase a sottoscrivere un trattato, troppo ignominioso per servir di fondamento ad una pace durevole. Fu stipulato, che nelle acclamazioni del Popolo Romano sempre si pro-