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storia della decadenza |
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o al più sopra pelli di pecore, insieme con le loro mogli, co’ figli e col bestiame. Le loro vesti eran sordide e scarse; non conoscevan l’uso del pane e del vino; e certe focacce d’avena o di orzo, che malamente si facevan cuocere nella cenere, si divoravano quasi crude dagli affamati selvaggi. A questi straordinari ed insoliti travagli doveva cedere la salute di Gelimero, qualunque si fosse la causa, per cui li soffriva; ma l’attual sua miseria veniva di più amareggiata dalla memoria della passata grandezza, dalla continua indolenza dei suoi protettori, e dal giusto timore, che i leggieri e venali Mori s’inducessero a tradire i diritti dell’ospitalità. La conoscenza della situazione di esso dettò l’umana ed amichevol lettera di Fara: „Pensate a voi medesimo (gli scrisse il Capo degli Eruli). Io sono un ignorante Barbaro; ma parlo il linguaggio del buon senso e dell’onestà. Volete voi persistere ad un’ostinazione senza speranza? Perchè volete voi rovinar voi medesimo, la vostra Famiglia e la vostra Nazione? Per amor della libertà e per abborrimento alla schiavitù? Oimè, carissimo Gelimero, non siete voi ora il peggior degli schiavi, lo schiavo della più vile Nazione de’ Mori? Non sarebbe da scegliersi piuttosto di menare a Costantinopoli una vita di povertà e servitù, che di regnare da Monarca assoluto della montagna di Papua? Stimate voi una vergogna l’esser suddito di Giustiniano? Lo è Belisario, e noi medesimi, la nascita de’ quali non è inferiore alla vostra, non ci vergogniamo di ubbidire all’Imperator Romano. Questo generoso Principe vi darà il possesso di ricche terre, un posto nel Senato, e la dignità di Patrizio: queste sono le sue graziose in-