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dell'impero romano cap. xli. |
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rinari sbarcasse per unirsi al trionfo, ed accrescere l’apparente numero de’ Romani. Avanti di permetter loro ch’entrassero nelle porte di Cartagine gli esortò in un discorso degno di lui e della circostanza presente, a non infamare la gloria delle loro armi, ed a ricordarsi che i Vandali erano stati i tiranni, ma che essi erano i liberatori degli Affricani, i quali dovevano allora esser rispettati come volontari ed affezionati sudditi del comune loro Sovrano. I Romani marciarono per le strade della Città in strette file, preparati sempre alla battaglia se fosse comparso qualche nemico; l’ordine, rigorosamente mantenuto dal Generale, impresse ne’ loro animi il dovere dell’ubbidienza; ed in un secolo, nel quale l’uso e l’impunità quasi santificava l’abuso della conquista, il genio d’un solo uomo represse le passioni d’un esercito vittorioso. Tacque la voce della minaccia e del lamento; il commercio di Cartagine non fu interrotto; mentre l’Affrica mutò padrone e Governo, continuarono le botteghe aperte e in azione; ed i soldati, dopo che furon poste sufficienti guardie ne’ luoghi opportuni, modestamente si ritirarono alle case destinate a riceverli. Belisario fissò la sua residenza nel Palazzo; si assise sul trono di Genserico; accettò e distribuì le spoglie de’ Barbari; concesse la vita a’ Vandali supplichevoli, e procurò di riparare il danno che nella notte precedente avea sofferto il sobborgo di Mandracio. A cena trattò i suoi principali Ufiziali con la magnificenza e la forma d’un Banchetto reale1. Il vinci-
- ↑ Da Delfi ricevè il nome di Delphicum tanto in Greco quanto in Latino un tripode: e per una facile analogia fu estesa in Roma, in Costantinopoli, ed in Cartagine la stessa