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dell'impero romano cap. xli. 383

rinari sbarcasse per unirsi al trionfo, ed accrescere l’apparente numero de’ Romani. Avanti di permetter loro ch’entrassero nelle porte di Cartagine gli esortò in un discorso degno di lui e della circostanza presente, a non infamare la gloria delle loro armi, ed a ricordarsi che i Vandali erano stati i tiranni, ma che essi erano i liberatori degli Affricani, i quali dovevano allora esser rispettati come volontari ed affezionati sudditi del comune loro Sovrano. I Romani marciarono per le strade della Città in strette file, preparati sempre alla battaglia se fosse comparso qualche nemico; l’ordine, rigorosamente mantenuto dal Generale, impresse ne’ loro animi il dovere dell’ubbidienza; ed in un secolo, nel quale l’uso e l’impunità quasi santificava l’abuso della conquista, il genio d’un solo uomo represse le passioni d’un esercito vittorioso. Tacque la voce della minaccia e del lamento; il commercio di Cartagine non fu interrotto; mentre l’Affrica mutò padrone e Governo, continuarono le botteghe aperte e in azione; ed i soldati, dopo che furon poste sufficienti guardie ne’ luoghi opportuni, modestamente si ritirarono alle case destinate a riceverli. Belisario fissò la sua residenza nel Palazzo; si assise sul trono di Genserico; accettò e distribuì le spoglie de’ Barbari; concesse la vita a’ Vandali supplichevoli, e procurò di riparare il danno che nella notte precedente avea sofferto il sobborgo di Mandracio. A cena trattò i suoi principali Ufiziali con la magnificenza e la forma d’un Banchetto reale1. Il vinci-

  1. Da Delfi ricevè il nome di Delphicum tanto in Greco quanto in Latino un tripode: e per una facile analogia fu estesa in Roma, in Costantinopoli, ed in Cartagine la stessa