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del suo Capo, che gloriosamente esercitò il diritto della propria famiglia, di correre il primo e solo a scagliare il primo dardo contro il nemico. Frattanto Gelimero, non sapendo quel ch’era seguito, ed ingannato dalla tortuosità de’ colli oltrepassò inavvertentemente l’esercito Romano, e giunse al luogo dov’era caduto Ammata. Pianse il destino del fratello e di Cartagine; attaccò con irresistibil furore gli squadroni, che s’avanzavano; ed avrebbe potuto proseguire e forse far decidere la vittoria in suo favore, se non avesse consumato quei preziosi momenti nell’adempire un inutile, quantunque pietoso, dovere verso il defunto. Mentre il suo spirito era abbattuto da questo luttuoso ufizio, udì la trombetta di Belisario, che lasciando Antonina, e la sua infanteria nel campo s’avanzò in fretta con le sue guardie e col resto della cavalleria per riunire le fuggitive sue truppe e rimetter la fortuna della giornata. In questa disordinata battaglia non potè molto aver luogo l’abilità d’un Generale; ma il Re fuggì d’avanti all’Eroe, ed i Vandali, assuefatti a combattere solo co’ Mori, non furon capaci di resistere alle armi ed alla disciplina de’ Romani. Gelimero precipitosamente si ritirò verso il deserto di Numidia; ma presto ebbe la consolazione di sapere, ch’erano stati fedelmente eseguiti i segreti suoi ordini per la morte d’Ilderico e de’ prigionieri suoi amici. La vendetta però del Tiranno fu solo vantaggiosa a’ nemici di esso. La morte d’un legittimo Principe risvegliò la compassione del suo Popolo; e mentre la sua vita avrebbe messo in perplessità i vittoriosi Romani, il Luogotenente di Giustiniano, per mezzo d’un delitto di cui era innocente, fu liberato dulia penosa alternativa di mancare all’onore, o di abbandonare le sue conquiste.