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dell'impero romano cap. xli. 379

moltiplicati, senza includervi le donne e i fanciulli, fino a cento sessantamila combattenti: e tali forze, animate dal valore e dall’unione avrebber potuto impedire, al primo sbarco, le deboli ed esauste truppe del Generale Romano. Ma gli amici del Re prigioniero erano più inclinati ad accettar gl’inviti che a resister a’ progressi di Belisario; e molti altieri Barbari mascheravano la loro avversione alla guerra sotto il più specioso nome dell’odio, che portavano all’usurpatore. Ciò nonostante l’autorità e le promesse di Gelimero unirono insieme un formidabile esercito, ed i suoi disegni furono concertati con qualche sorte di perizia militare. Spedì un ordine ad Ammata, suo fratello, di raccoglier tutte le forze di Cartagine, e di opporsi alla Vanguardia dell’esercito Romano alla distanza di dieci miglia dalla Città; e Gibamondo, suo nipote, con duemila cavalli fu destinato ad attaccarne il fianco sinistro mentre il Monarca medesimo, che tacitamente seguitava i nemici, ne avrebbe attaccata la retroguardia in una situazione, che toglieva loro l’aiuto ed anche la vista della lor flotta. Ma la temerità d’Ammata riuscì fatale a lui medesimo ed al suo Paese. Egli anticipò l’ora dell’attacco, precedè i suoi lenti seguaci, e fu trafitto da una mortal ferita, dopo d’aver ucciso con le proprie mani dodici de’ suoi più arditi nemici. I suoi Vandali fuggirono a Cartagine; la strada maestra, per lo spazio di quasi dieci miglia fu ricoperta di cadaveri; e sembra incredibile, che tante persone fossero trucidate dalle spade di trecento Romani. Il nipote di Gelimero fu disfatto dopo un breve combattimento dai seicento Massageti: questi non giungevano neppure alla terza parte delle truppe di esso; ma ogni Scita veniva infiammato dall’esempio