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dell'impero romano cap. xl. |
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Città non ebbe notizia veruna del terremoto, ch’essi avevan sentito. Un’altra volta gli amici di Zenone, mentre stavano a mensa, restarono abbagliati dall’intollerabile luce, che gettarono loro negli occhi gli specchi di riflessione d’Antemio; furon sorpresi dallo strepito, ch’ei produsse, mediante la collisione di certi minuti e sonori corpuscoli; e l’oratore in tragico stile dichiarò avanti al Senato, che un semplice mortale doveva cedere alla potenza d’un avversario, che scuoteva col tridente di Nettuno la terra, ed imitava il tuono ed il lampo di Giove medesimo. Il genio d’Antemio e d’Isidoro di Mileto suo Collega fu eccitato e posto in uso da un Principe, il gusto del quale per l’Architettura era degenerato in una dannosa e dispendiosa passione. I favoriti Architetti di Giustiniano sottomettevano ad esso i loro disegni, e le loro difficoltà, e discretamente confessavano, quanto le laboriose loro meditazioni fossero al di sotto dell’intuitiva cognizione, o dell’inspirazione celeste d’un Imperatore, di cui le vedute eran sempre dirette all’utilità del Popolo, alla gloria del suo Regno, ed alla salvazione dell’anima sua1. La Chiesa principale di Costantinopoli, che dal suo Fondatore fu dedicata a S. Sofia, o all’eterna Sapienza, era stata due volte distrutta dal fuoco; dopo
- ↑ Vedi Procopio (De Aedif. L. I c. 1, 2 L. II c. 3). Ei riferisce una coincidenza di sogni, che suppone qualche frode in Giustiniano, o nel suo Architetto: ambidue videro in una visione l’istesso piano per fermare un’inondazione a Dara: fu rivelata all’Imperatore una cava di pietre vicina a Gerusalemme (L. V c. 6); e fu destinato un angelo alla perpetua custodia di S. Sofia (Anonym. de antiq. C. P. L. IV p. 70).