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dell'impero romano cap. xl. | 287 |
Finattantochè furon divise le due fazioni, sembrava che tanto i trionfanti Azzurri, quanto i Verdi abbattuti riguardassero con la medesima indifferenza i disordini dello Stato. Ma in quest’occasione s’unirono a censurare la mal amministrazione della Giustizia e delle Finanze; i due Ministri, che n’erano responsabili, cioè l’artificioso Triboniano, ed il rapace Giovanni di Cappadocia, furono altamente accusati come gli autori della pubblica miseria. In tempo di pace non si sarebber curati i bisbigli del Popolo; ma quando la Città era in mezzo alle fiamme, si ascoltarono con rispetto, furono immediatamente deposti, sì il Questore, che il Prefetto, e furono a quelli sostituiti due Senatori d’irreprensibile integrità. Dopo questa popolar concessione, Giustiniano si portò all’Ippodromo a confessare i propri errori, e ad accettare il pentimento dei buoni suoi sudditi; ma questi non si fidarono delle sue proteste, sebbene pronunziate solennemente sopra i santi Vangeli; e l’Imperatore, sbigottito dalla lor diffidenza, precipitosamente si ritirò nella Fortezza del Palazzo. Allora imputossi l’ostinazione del tumulto ad una segreta ed ambiziosa cospirazione; e s’ebbe sospetto, che gl’insorgenti, specialmente i Verdi, fossero sostenuti con armi e danaro da due Patrizi Ipazio e Pompeo, i quali non potevano dimenticarsi con onore, nè ricordarsi con sicurezza di esser nipoti dell’Imperatore Anastasio. Capricciosamente ammessi alla confidenza del Monarca, quindi caduti in disgrazia, e dalla gelosa sua leggierezza ottenuto il perdono, si erano essi presentati come servi fedeli avanti al Trono; e per i cinque giorni del tumulto, ritenuti furono come ostaggi di grande importanza; ma finalmente prevalendo i timori di Giusti-