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della perfezione Cristiana. Essi erano veri Filosofi, come sovente gli chiama l’antichità. Si separavano dal Mondo per meditare le cose celesti; non come quegli Egiziani descritti da Porfirio1, che sotto un sì gran nome non intendevano altro, che la Geometria2, o l’Astronomia: nè come i Filosofi Greci, che si ritiravano per ricercare i segreti della natura, per ragionare sulla morale, o per disputare del Sommo Bene, e della distinzione delle virtù.

I Monaci (ricordevoli dei detti della incarnata Sapienza eterna, incontro a cui altro non sono che importuni gracidatori i Filosofanti del secolo) rinunziavano al Matrimonio, e alla Società degli uomini, per liberarsi dall’imbarazzo degli affari, e dalle tentazioni che sono inevitabili nel commercio del Mondo; per pregare, cioè contemplare la grandezza di Dio, meditare i suoi benefizi e i precetti della santa sua Legge e purificare il lor cuore. Tutto il loro studio era la Morale, cioè a dire la pratica delle virtù: non si disputava, non si disprezzava alcuno, e appena si parlava. Ascoltavano con docilità le istruzioni de’ loro Anziani; parecchi non sapevano neppur leggere, e meditavano la Scrittura sulle lezioni che avevano sentite. Si nascondevano dagli uomini, per quanto potevano, non cercando che di piacere a Dio. La sola fama delle loro virtù e spesso de’ lor miracoli gli faceva conoscere: e noi non sapremmo neppure per la maggior parte, che essi fossero stati al Mondo, se Dio non avesse suscitati dei curiosi3, come Rufino e

  1. Porph. de Vita Pitag.
  2. Trattato degli Studi n. 4.
  3. Hist. l. XX n. 3.