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dell'impero romano cap. xxx. | 91 |
quali noi siam debitori di questa sconnessa descrizione delle pubbliche calamità, presero quindi occasione d’esortare i Cristiani a pentirsi delle colpe, che avevano irritata la divina giustizia; ed a rinunziare ai beni transitorj del misero ed ingannevole Mondo. Ma siccome la controversia Pelagiana1, che tenta di scandagliare l’abisso della Grazia e della Predestinazione, divenne tosto la seria occupazione del clero Latino, la Providenza, che aveva stabilito, o preveduto, o permesso tal serie di mali naturali e morali, fu temerariamente pesata nell’imperfetta e fallace bilancia della ragione. Arrogantemente si confrontarono i delitti e le disgrazie dell’angustiato popolo con quelle dei loro maggiori; e fu attaccata la divina giustizia, che non esimeva dalla comun distruzione la parte debole, innocente e puerile della specie umana. Questi oziosi disputanti non riflettevano alle invariabili leggi della natura, che hanno congiunto la pace coll’innocenza, l’abbondanza coll’industria, e la salvezza col valore. La timida ed interessata politica della Corte di Ravenna potè richiamar le legioni Palestine per la difesa dell’Italia; gli avanzi delle truppe di guarnigione restatevi potevano essere insufficienti all’ardua impresa; ed i Barbari ausiliari poteron pre-
- ↑ La dottrina Pelagiana, che s’agitò per la prima volta nell’anno 405, fu condannata nello spazio di dieci anni in Roma ed in Cartagine. S. Agostino combattè, e vinse: ma la Chiesa Greca favorì i suoi avversari, e (quel che è assai singolare) il popolo non prese parte veruna in una disputa, che non poteva intendere.
de Provident. Divin. e Salviano. L’anonimo poeta medesimo era prigioniero insieme col proprio Vescovo e coi suoi cittadini.