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dell'impero romano cap. xxx. 75

Ravenna i vascelli della vicina campagna. Il mare, appoco appoco ritirandosi, ha lasciato la moderna città alla distanza di quattro miglia dall’Adriatico; e fino dal quinto e sesto secolo dell’Era Cristiana, il porto d’Augusto fu convertito in amene piantazioni, ed un solitario bosco di pini cuoprì quel suolo, dove una volta la flotta Romana stava sulle ancore1. Anche tale alterazione contribuì ad accrescere la natural fortezza del luogo; e la bassezza delle acque faceva un sufficiente riparo contro le grosse navi dell’inimico. Questa situazion vantaggiosa fu inoltre fortificata dal travaglio e dall’arte; e l’Imperatore dell’Occidente, nel ventesimo anno dell’età sua, ansioso soltanto della propria personal sicurezza, ritirossi nel perpetuo confino delle mura e delle paludi di Ravenna. Fu imitato l’esempio d’Onorio da’ Re Goti, suoi deboli successori, e di poi dagli Esarchi, i quali occuparono il trono ed il palazzo degl’Imperatori; e fino alla metà dell’ottavo secolo Ravenna fu risguardata come la sede del Governo e la Capitale dell’Italia2.

[A. 400] I timori d’Onorio non erano senza fondamento, nè le sue precauzioni furono senz’effetto. Nel tempo che l’Italia si rallegrava per la sua liberazione dai Goti, eccitossi una furiosa tempesta fra le nazioni della Germania, che cederono all’irresistibile impulso, che sem-

  1. La favola di Teodoro e d’Onorio, che Dryden ha sì mirabilmente preso dal Boccaccio (Giorn. III novell. 8) seguì nel bosco di Chiassi, voce corrotta da Classis, navale stazione, che con la strada o sobborgo intermedio, via Caesaris, formava la triplice città di Ravenna.
  2. Dall’anno 404 in poi le date del Codice Teodosiano divengono permanenti in Costantinopoli ed in Ravenna. Vedi la Cronologia delle Leggi del Gotofredo Tom. I. p. 148.