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dell'impero romano cap. xxx. 57

s’oppongono al nostro disegno di descriver le circostanze della prima invasione d’Italia fatta dalle armi d’Alarico. Sembra, che la sua marcia, incominciata fosse da Tessalonica per il guerriero e nemico paese della Pannonia sino al piè delle Alpi Giulie, e che il suo passaggio per que’ monti, ch’erano fortemente guardati da truppe e da fortificazioni; l’assedio di Aquileia, e la conquista delle Province dell’Istria e della Venezia, occupasse un tempo considerabile. A meno che le sue operazioni non fossero estremamente caute e lente, la lunghezza dello spazio suggerirebbe un probabil sospetto, che il Goto Re si ritirasse verso le rive del Danubio, e rinforzasse la sua armata con freschi sciami di Barbari, prima di tentar nuovamente di penetrare nel cuor dell’Italia. Poichè i pubblici ed interessanti avvenimenti sfuggono la diligenza dell’istorico, ei può divertirsi nel contemplare per un momento l’influenza delle armi d’Alarico ne’ casi di due oscuri individui, cioè d’un Prete d’Aquileia, e d’un agricoltor di Verona. Il dotto Ruffino, che dai suoi nemici era stato citato a comparire avanti ad un Sinodo Romano1, preferì saviamente i pericoli di

    fonde fra loro le guerre Italiche d’Alarico (c. 29) la data, che ei cita del Consolato di Stilicone e d’Aureliano (an. 400) è fissa e rispettabile. Egli è certo, secondo Claudiano (Tillem., Hist. des Emp. Tom. V. p. 804), che la battaglia di Pollenzia seguì nel 403; ma non possiamo facilmente riempire quest’intervallo.

  1. Tantum Romanae Urbis judicium fugis, ut magis obsidionem barbaricam, quam pacatae urbis judicium velis substinere; Girol. Tom. II. p. 239. Ruffino conobbe il proprio pericolo: la pacifica città era infiammata dalla vecchia Marcella, e dal restante della fazione di Girolamo.