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dell'impero romano cap. xxxvi. |
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qualche segreto motivo, evitava la porpora, con la stessa facilità consentirono a riconoscere Augustolo suo figlio per Imperatore dell’Occidente. Attesa l’abdicazione di Nipote, Oreste giunse al colmo delle sue ambiziose speranze; ma tosto conobbe, prima che spirasse il primo anno, che le lezioni di spergiuro e d’ingratitudine, che può inculcare un ribelle, si ritorcono contro di lui; e che al precario Sovrano d’Italia non era permesso che di scegliere, se voleva esser lo schiavo, o la vittima de’ Barbari suoi mercenari. La pericolosa alleanza di tali stranieri aveva oppresso ed insultato gli ultimi residui della libertà e dignità Romana. In ogni rivoluzione si aumentavan la paga ed i privilegi loro; ma la loro insolenza cresceva ad un segno sempre più stravagante; invidiavano essi la sorte de’ loro confratelli nella Gallia, nella Spagna e nell’Affrica, le vittoriose armi de’ quali avevano acquistato un indipendente e perpetuo patrimonio; ed insistevano sulla perentoria loro domanda, che fosse immediatamente divisa fra loro una terza parte de’ terreni d’Italia. Oreste, con un coraggio, che in un’altra situazione potrebbe aver diritto alla nostra stima, volle piuttosto andare incontro al furore d’una moltitudine armata, che sottoscrivere la rovina d’un innocente Popolo. Ei rigettò l’audace domanda; ed il suo rifiuto fu favorevole all’ambizione d’Odoacre, ardito Barbaro, che assicurò i soldati suoi compagni, che se osavano d’unirsi sotto il suo comando, avrebber potuto esigere la giustizia, ch’era stata negata alle rispettose loro domande. Da tutti i campi e guarnigioni d’Italia i confederati, mossi dal medesimo sdegno e dalle medesime speranze, impazientemente correvano alle bandiere del popolare lor capitano; e l’infelice Patrizio, oppresso