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dell'impero romano cap. xxxvi. |
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menti, ed i Deputati avevano artificiosamente risoluto di non produrre le loro più formidabili armi fino al momento della decisione della causa. Ma lo zelo di Sidonio scoprì le loro intenzioni. Esso immediatamente avvisò del pericolo il reo, che nulla di ciò sospettava; e sinceramente compianse, senza irritamento veruno, la superba presunzione d’Arvando, che rigettava, ed anche si stimava offeso de’ salutari avvisi de’ suoi amici. Non conoscendo Arvando la sua real situazione, compariva nel Campidoglio con le vesti bianche di un candidato, accettava indistintamente i saluti e l’esibizioni, osservava le botteghe de’ mercanti, i drappi e le gemme, ora coll’indifferenza d’un semplice spettatore, ed ora coll’attenzione d’uno che vuol comprare; e si doleva de’ tempi, del Senato, del Principe e delle dilazioni de’ Tribunali. Ma presto si tolsero di mezzo le sue querele. Fu fissata in una mattina di buon’ora la decisione della sua causa; ed Arvando comparve co’ suoi accusatori avanti ad una numerosa adunanza del Senato Romano. Il tristo abito, ch’essi affettarono eccitò la compassione de’ Giudici, che furono scandalizzati dalla gaia e splendida veste del loro avversario; e quando il Prefetto Arvando, insieme col primo fra’ Deputati Gallici, andarono a prendere i loro posti sopra le sedie Senatorie, fu osservato nel loro contegno l’istesso contrasto d’orgoglio e di modestia. In questo memorabil giudizio, che rappresentava una viva immagine dell’antica Repubblica, i Galli esposero con forza e libertà gli aggravi della Provincia; e tosto che gli animi dell’udienza furono sufficientemente infiammati, recitarono la fatal lettera. L’ostinazione d’Arvando si fondava sulla strana supposizione, che un suddito non si potesse convincere di tradimento, a