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dell'impero romano cap. xxxvi. | 519 |
e gli Arabi, con una quantità di cavalli e di cammelli aprirono le vie del deserto. Eraclio sbarcò sulla costa di Tripoli, sorprese e soggiogò le città di quella Provincia, e si preparò mediante una laboriosa marcia, che Catone aveva eseguita anticamente1, ad unirsi coll’armata Imperiale sotto le mura di Cartagine. La notizia di questa perdita estorse da Genserico qualche insidiosa ed inefficace proposizione di pace; ma quel che vie più gli dava da pensar seriamente, era la riconciliazione di Marcellino co’ due Imperi. Quell’indipendente Patrizio era stato indotto a riconoscere il legittimo titolo d’Antemio, ch’esso accompagnò nel suo viaggio a Roma; la flotta Dalmata fu ricevuta ne’ porti dell’Italia; l’attivo valore di Marcellino scacciò i Vandali dall’Isola di Sardegna; ed i languidi sforzi dell’Occidente aggiunsero qualche peso agl’immensi preparativi de’ Romani Orientali. Si è distintamente calcolata la spesa dell’armamento navale, che Leone mandò contro i Vandali; e quel curioso ed istruttivo ragguaglio dimostra la ricchezza del decadente Impero. La cassa regia, o il privato patrimonio del Principe somministrò diciassettemila libbre d’oro; altre quarantaset-
- ↑ La marcia di Catone, che partì da Berenice nella Provincia di Cirene, fu più lunga di quella d’Eraclio da Tripoli. Egli passò il vasto arenoso deserto in trenta giorni, e bisognò prevedersi, oltre gli ordinari bagagli, d’un gran numero di otri pieni d’acqua, e di molti Pselli, che si supponeva, avessero l’arte di succiar le ferite fatte da’ serpenti del nativo loro paese. Vedi Plutarco, in Caton. Uticens. Tom. VI. p. 275. Strab. Georg. l. XVII. p. 1191.
destrezza nel far uso delle circostanze somministrateci da Teofane, senza offendere la testimonianza più rispettabile di Procopio.