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dell'impero romano cap. xxxvi. 517

loro malizia non dannosa. Una capra era la vittima più adattata al carattere ed agli attributi loro; si arrostiva la carne di essa con ispiedi di salcio; ed i licenziosi giovani, che andavano in folla alla festa, correvano nudi pei campi, e con istrisce di cuoio in mano comunicavano, come si supponeva, la fecondità alle donne, ch’essi toccavano1. Fu eretto l’altare di Pane, forse da Evandro l’Arcade, in un oscuro nascondiglio da un lato del colle Palatino, bagnato da una perpetua fontana e adombrato da un bosco che lo dominava. Una tradizione, che Romolo e Remo in quel luogo fossero stati allattati dalla lupa, lo rendeva sempre più sacro e venerabile agli occhi de’ Romani, e quel pezzo di selva fu appoco appoco circondato da’ magnifici edifizi del Foro2. Dopo la conversione della Città Imperiale, i Cristiani continuarono, nel mese di Febbraio, l’annua celebrazione de’ Lupercali, a cui essi attribuivano una segreta e misteriosa influenza sulle naturali forze del Mondo animale e vegetabile. I Vescovi di Roma cercavano d’abolire un uso profano, sì contrario allo spirito del Cristianesimo; ma il loro zelo non era sostenuto dall’autorità de’ Magistrati civili; sussistè quell’inveterato abuso fino al termine del quinto secolo, ed il Pontefice Gelasio, che purificò la capitale

  1. Ovidio (Fast. l. II. 267-452) ha fatto una piacevole descrizione delle follie dell’antichità, che sempre inspiravano tanto rispetto, che un grave Magistrato correndo nudo per le strade non era un soggetto di maraviglia, nè di derisione.
  2. Vedi Dionis. Alic. l. 1. p. 25, 65. Edit. Hudson. Gli antiquari Romani, Donato (l. II. c. 18. p. 173, 174), ed il Nardini (p. 386, 387) hanno cercato di stabilire la vera situazione del Lupercale.