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dell'impero romano cap. xxxvi. 509

avevan riconosciuto in pace ed in guerra la superiorità di Roma. Ma la perpetua divisione de’ due Imperi ne avea alienato le inclinazioni e gl’interessi; fu addotta la fede d’un recente trattato: ed i Romani d’Occidente invece di armi e di navi, non poteron ottenere, che l’assistenza d’una fredda ed inefficace mediazione. Il superbo Ricimero, che aveva lungamente combattuto con le difficoltà della sua situazione fu ridotto finalmente ad indirizzarsi al trono di Costantinopoli nell’umile linguaggio di suddito; e l’Italia si sottopose ad accettare un Signore dalle mani dell’Imperatore dell’Oriente, come per prezzo e sicurezza della confederazione1. Non è coerente allo scopo del Capitolo, e neppure del volume presente il continuare la serie distinta dell’istoria Bizantina; ma una breve occhiata intorno al regno ed al carattere dell’Imperator Leone può spiegare gli ultimi sforzi che si tentarono per salvare il cadente Impero dell’Occidente2.

  1. Il Poeta stesso è costretto a confessare l’angustia di Ricimero:

    Praeterea invictus Ricimer, quem pubblica fata
    Respiciunt, proprio solus vix marte repellit
    Piratam per rura vagum....

    L’Italia dirige le sue querele al Tevere, e Roma, all’istanza del divino fiume, si porta a Costantinopoli, rinunzia i suoi antichi diritti, ed implora l’amicizia dell’Aurora, Dea dell’Oriente. Questa favolosa macchina, di cui aveva già usato, ed abusato il genio di Claudiano, è il costante miserabile ripiego delle muse di Sidonio.

  2. Gli autori originali de’ regni di Marciano, di Leone e di Zenone son ridotti ad alcuni imperfetti frammenti, alle mancanze de’ quali convien supplire per mezzo delle più recenti compilazioni di Teofane, di Zonara o di Cedreno.