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le egli non era stato consultato. I suoi fedeli ed importanti servigi contro il comun nemico lo renderono sempre più formidabile1; e dopo aver distrutto sulle coste della Corsica una flotta de’ Vandali composta di sessanta galere, tornò Ricimero in trionfo col titolo di Liberator dell’Italia. Egli scelse questo momento per significare ad Avito, che il suo regno era giunto a fine; e il debole Imperatore, distante da’ Goti suoi alleati, fu costretto dopo una breve ed inefficace contesa a dimetter la porpora. La clemenza però, o il disprezzo di Ricimero2 gli permise di passare dal trono al più desiderabile posto di Vescovo di Piacenza: ma lo sdegno del Senato non era ancor soddisfatto; e la sua inflessibil severità pronunziò contro di lui la sentenza di morte. Esso fuggì verso le alpi coll’umile speranza non già d’armare i Visigoti in sua difesa, ma d’assicurare la propria persona ed i suoi tesori nel santuario di Giuliano, uno de’ santi tutelari dell’Alvergna3. La malattia o la mano del carnefice l’arrestò

  1. Vedi la Cronica d’Idazio. Giornandes (c. 44. p. 676) lo nomina con qualche sorta di verità virum egregium, et pene tunc in Italia ad exercitum singularem.
  2. Parcens innocentiae Aviti: questa è la compassionevole, ma sprezzante espressione di Vittore Tunnunense (in Chron. ap. Scaliger. Euseb.). In un altro luogo l’appella vir totius simplicitatis. Questa commendazione è più umile, ma è più solida e sincera delle lodi di Sidonio.
  3. Egli soffrì, come si suppone, il martirio nella persecuzione di Diocleziano (Tillemont, Mem. Eccl. Tom. 5. p. 279, 696). Gregorio di Tours, suo particolar devoto, ha consacrato alla gloria di Giuliano martire un intero libro (de gloria Martyr. l. II. in maxima Bibl. Patr. Tom. XI. p. 861, 871), nel quale racconta circa cinquanta sciocchi miracoli fatti dalle sue reliquie.