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dell'impero romano cap. xxxvi. | 471 |
ne’ posti subordinati, egli era incapace d’amministrare un Impero; e quantunque potesse facilmente sapere i preparativi navali, che si facevano su gli opposti lidi dell’Affrica, aspettò con supina indifferenza la venuta del nemico, senza prendere alcuna misura per difendersi, per trattare, o per opportunamente ritirarsi. Quando i Vandali sbarcarono all’imboccatura del Tevere, l’Imperatore fu ad un tratto svegliato dal suo letargo pei clamori d’una tremante ed esacerbata moltitudine. L’unica speranza, che si presentò all’attonito suo spirito, fu quella d’una precipitosa fuga; ed esortò i Senatori ad imitare l’esempio del loro Principe. Ma appena Massimo si fece veder nelle strade, che fu assalito da una pioggia di pietre: un soldato Romano o Borgognone si attribuì l’onore della prima ferita di esso; il suo lacero corpo fu ignominiosamente gettato nel Tevere; il Popolo Romano vide con piacere la pena data all’autore della pubblica calamità; ed i famigliari d’Eudossia segnalarono il proprio zelo in servizio della loro Signora1.
[A. 455] Il terzo giorno dopo il tumulto, Genserico si avanzò arditamente dal porto d’Ostia alle porte della indifesa
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.... infidoque tibi Burgundio ductu
Extorquet trepidas mactandi Principis iras.Sidonio, in Paneg. avit. 442. Verso notabile che fa conoscere, che Roma e Massimo furono traditi da’ loro mercenari soldati Borgognoni.
tal. Tom. IV. p. 249) dubita della verità di quest’invito, ed osserva assai giustamente, che non si può dir quanto sia facile il Popolo a sognare, e spacciar voci false. Ma il suo argomento, tratto dalla distanza del tempo e del luogo, è sommamente debole. I fichi, che nascevano vicino a Cartagine, furono portati il terzo giorno al Senato Romano.