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anche la posterità dee confessare con qualche sorpresa, che l’arbitraria interpretazione d’un’accidentale o favolosa circostanza si è realmente verificata nella caduta dell’occidentale Impero. Ma la sua rovina fu annunziata da un augurio più chiaro del volo degli avoltoi: il Governo Romano sembrava ogni giorno meno formidabile a’ suoi nemici, e più odioso ed oppressivo a’ suoi sottoposti1. S’erano moltiplicate le tasse con la pubblica calamità; si trascurava l’economia, a misura ch’era divenuta più necessaria; e l’ingiustizia dei ricchi scaricava i disuguali pesi sulla plebe, ch’essi defraudavano de’ doni, che talvolta ne avrebbero potuto sollevar la miseria. La severa inquisizione, che confiscava i loro beni, e tormentava le persone, costringeva i sudditi di Valentiniano a preferire la più semplice tirannia de’ Barbari, a fuggire a’ boschi, ed alle montagne, o ad abbracciare l’abbietta e vil condizione di servi mercenari. Essi deponevano ed abborrivano il nome di Cittadini Romani, che in altri tempi

    colo, Claudiano (De bell. Getic. 265), e Sidonio (in Paneg. avit. 357), si possono risguardar come buoni testimoni dell’opinioni popolare:

    Jam reputant annos, interceptoque volatu
         Vulturis, incidunt properatis saecula metis.
    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
    Jam prope fata tui bissenas vulturis alas
         Implebant; scis namque tuos, scis Roma labores.

    Vedi Dubos, Hist. crit. Tom. 1, p. 340, 346.

  1. Il quinto libro di Salviano è pieno di patetici lamenti, e di veementi invettive. La smoderata sua libertà serve a provare la debolezza non meno che la corruzione del Governo Romano. Il suo libro fu pubblicato dopo la perdita dell’Affrica (an. 439), e prima della guerra d’Attila (anno 451).