Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano VI.djvu/469


dell'impero romano cap. xxxv. 463

il fine di Valentiniano III1, ultimo Imperator Romano della famiglia di Teodosio. Imitò esso fedelmente l’ereditaria debolezza del suo cugino, e de’ suoi due zii, senza ereditare le gentili maniere, la purità e l’innocenza, che ne’ loro caratteri alleggeriscono il difetto di mancanza di spirito e d’abilità. Valentiniano era meno scusabile, poichè aveva le passioni senza le virtù, si potea dubitare fino della sua religione; e quantunque non deviasse mai ne’ sentieri dell’eresia, scandalizzò i devoti Cristiani col suo attaccamento alle profane arti della magia e della divinazione.

[A. 455] Fino da’ tempi di Cicerone, e di Varrone, era opinione degli Auguri Romani, che i dodici avoltoi, veduti da Romolo, rappresentassero i dodici secoli assegnati alla fatal durata della sua città2. Questa profezia, disprezzata forse nel tempo della prosperità e del vigore, inspirò al Popolo molte triste apprensioni, quando fu prossimo al suo termine il duodecimo secolo, oscurato dalla vergogna e dalla disgrazia3; ed

  1. La cognizione che abbiamo, delle cause e circostanze delle morti di Valentiniano e d’Ezio, è oscura ed imperfetta. Procopio (De Bell. Vandall. l. 1, c. 4, p. 186, 187, 188) è uno scrittor favoloso, pei fatti che precedono i suoi tempi. Bisogna supplire e correggere i suoi racconti con cinque o sei Croniche, nessuna delle quali fu composta in Roma o in Italia; e che non esprimono che in tronchi sensi i romori popolari, quali giungevano nella Gallia, nella Spagna, nell’Affrica, in Costantinopoli, o in Alessandria.
  2. Quest’interpretazione di Vezio, celebre augure, era citata da Varrone nel libro XVIII delle sue Antichità. Censorino, de die Natal. c. 17, p. 90, 91 Edit. Havercamp.
  3. Secondo Varrone, il duodecimo secolo doveva spirare l’anno 447. Ma l’incertezza della vera Era di Roma può permettere qualche estensione di tempo. I poeti di quel se-