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dell'impero romano cap. xxxv. |
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calpestava le possessioni di Catullo e di Virgilio1. Il Barbaro Monarca gli ascoltò con favorevole ed anche rispettosa attenzione, e si comprò la liberazione dell’Italia con un’immensa somma o dote accordata per la Principessa Onoria. Lo stato, in cui si trovava il suo esercito, ne facilitò forse il trattato, ed affrettonne la ritirata. Lo spirito marziale de’ soldati erasi rilassato per l’abbondanza, e per l’indolenza che produce un clima caldo. I pastori del Norte, l’ordinario cibo de’ quali consisteva in latte ed in carne cruda, troppo liberamente si abbandonarono all’uso del pane, del vino, e de’ cibi preparati e conditi dall’arte di cucinare; ed il progresso delle malattie vendicò in qualche modo le ingiurie degl’Italiani2. Quando Attila dichiarò la sua risoluzione di portare le vittoriose sue armi alle porte di Roma, fu ammonito da-
- ↑ Il Marchese Maffei (Verona illustrat. part. I. p. 95, 129, 221 Part. II. §. 6) ha schiarito con gusto ed erudizione questa interessante topografia. Esso pone l’abboccamento d’Attila e di S. Leone vicino ad Ariolica o Ardelica, ora Peschiera, all’unione del lago e del fiume; fissa la villa di Catullo nella deliziosa penisola di Sarmio, e scuopre l’Andes di Virgilio nel Villaggio di Bande, precisamente situato qua se subducere colles incipiunt, dove i colli Veronesi insensibilmente s’abbassano verso la pianura di Mantova.
- ↑ Si statim infesto agmine urbem petiissent, grande discrimen esset. Sed in Venetia, qua fere tractu Italia mollissima est, ipsa soli coelique clementia robur elanguit. Ad hoc panis usu, carnisque coctae, et dulcedine vini mitigatos etc. Questo passo di Floro (III. 5) è anche più applicabile agli Unni, che a’ Cimbri, e può servire come di comentario al contagio celeste, con cui Idazio ed Isidoro hanno afflitto le truppe d’Attila.