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dell'impero romano cap. xxxv. 451

difeso la Gallia, ricusarono di marciare in soccorso dell’Italia; e gli aiuti, promessi dall’Imperatore orientale, erano distanti e dubbiosi. Ezio, alla testa delle sue truppe domestiche, si manteneva sempre in campagna, ed inquietava o ritardava la marcia d’Attila; nè mai con maggior verità si dimostrò grande, quanto nel tempo, in cui la sua condotta veniva biasimata da un ignorante ed ingrato Popolo1. Se lo spirito di Valentiniano fosse stato suscettivo di alcun sentimento generoso, avrebbe preso tal Generale per sua guida ed esempio. Ma il timido nipote di Teodosio invece di pigliar parte a pericoli, fuggì il suono della guerra; e la precipitosa sua ritirata da Ravenna a Roma, da una inespugnabil fortezza ad un’aperta capitale, dimostrò la sua segreta intenzione d’abbandonar l’Italia, tosto che si avvicinasse il pericolo, all’Imperial sua persona. Tal vergognosa abdicazione, però, fu sospesa da quello spirito di dubbio e di dilazione, che ordinariamente accompagna i pusillanimi consigli, e talvolta corregge le perniciose loro disposizioni. L’Imperatore occidentale, col Senato e Popolo di Roma, prese la risoluzione più salutare di calmare, mediante una solenne e supplichevole ambasceria, lo sdegno d’Attila. Fu accettata quest’importante commissione

  1. Il Sirmondo ha pubblicato (not. ad Sidon. Apollin. p. 19) un curioso passo, tratto dalla cronica di Prospero. Attila, redintegratis viribus, quas in Gallia amiserat Italiam ingredi per Pannonias intendit; nihil duce nostro Hetio secundum prioris belli opera prospiciente ec. Egli rimprovera Ezio d’aver trascurato di guardar le alpi, e del disegno d’abbandonar l’Italia. Ma questa temeraria censura può almeno contrabbilanciarsi dalle favorevoli testimonianze d’Idazio e d’Isidoro.