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dell'impero romano cap. xxxv. 437

mente appresentò loro le cautele de’ nemici, la stretta loro confederazione, ed i vantaggiosi posti, che si erano procurati, come gli effetti non della prudenza ma del timore. I soli Visigoti formavano la forza ed il nervo dell’armata nemica; e gli Unni potevano sicuramente sprezzare i degenerati Romani, l’ordine chiuso e ristretto de’ quali dimostrava il loro sgomento, essendo essi incapaci di sostenere sì i pericoli, che le fatiche d’una giornata di battaglia. La dottrina della predestinazione, sì favorevole al marzial valore, venne premurosamente inculcata dal Re degli Unni, che assicurò i suoi soldati, che i guerrieri protetti dal cielo, erano salvi ed invulnerabili fra’ dardi del nemico; ma che gl’infallibili Fati avrebbero colpito le loro vittime anche nel seno d’una ignobile pace. „Io stesso, continuò Attila, scaglierò il primo dardo, e quello sciagurato che ricusa d’imitar l’esempio del suo Sovrano, è condannato ad una inevitabile morte„. Fu rinvigorito lo spirito dei Barbari dalla presenza, dalla voce e dall’esempio dell’intrepido lor capitano; ed Attila, cedendo alla loro impazienza, li dispose in ordine di battaglia. Alla testa de’ suoi valorosi e fedeli Unni, egli occupava in persona il centro dell’esercito. Le nazioni sottoposte al suo Impero, vale a dire i Rugi, gli Eruli, i Turingi, i Franchi, i Borgognoni si estendevano, da ambe le parti, negli ampi spazi de’ campi Catalauni; l’ala destra era comandata da Ardarico, Re de’ Gepidi; ed i tre bravi fratelli, che regnavano sopra gli Ostrogoti, erano nella sinistra per opporsi alle infiammate tribù de’ Visigoti. La disposizione degli Alleati si regolò con un diverso principio: Sangibano, infedele Re degli Alani, fu posto nel centro, dove potevano bene osser-