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pazienti squadroni di Ezio e di Teodorico, che si avanzavano velocemente al soccorso d’Orleans.

La facilità, con cui Attila era penetrato nel cuor della Gallia, può attribuirsi alla sua insidiosa politica ugualmente che al terrore delle sue armi. Le sue pubbliche dichiarazioni venivano abilmente mitigate dalle sue private proteste; egli alternativamente lusingava e minacciava i Romani ed i Goti; e le Corti di Ravenna e di Tolosa, vicendevolmente sospettose l’una dell’altra, miravano con supina indifferenza l’avvicinamento del comune loro nemico. Ezio era il solo custode della pubblica sicurezza; ma le più savie di lui misure venivano sconcertate da una fazione, che dopo la morte di Placidia infestava il palazzo Imperiale; la gioventù Italiana tremava al suono della tromba; ed i Barbari, che per timore o per affetto erano inclinati a favorire la causa d’Attila, aspettavano con dubbiosa e venal fede l’evento della guerra. Il Patrizio passò le alpi alla testa di alcune truppe, la forza ed il numero delle quali appena meritava il nome d’esercito1. Ma giunto che fu ad Arles o a Lione, restò confuso alla nuova, che i Visigoti ricusando d’intraprender la difesa della Gallia, avevan determinato d’aspettare ne’ propri lor territori il formidabile invasore, ch’essi protestavano di disprezzare. Il Senatore Avito, che dopo avere onorevolmente esercitata la Prefettura Pretoriana, erasi ritirato alle sue terre nell’Alvernia, fu indotto ad accettare un’impor-

  1. ....... Ut liquerat Alpes
    Aetius, tenue et rarum sine milite ducens
    Robur, in auxiliis Geticum male credulus agmen
    Incassum propriis praesumens adjere castris.