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dell'impero romano cap. xxxiv. 369

fuorchè nella poesia o ne’ romanzi, che anche fra’ Barbari la vittoria dee dipendere dal grado d’abilità, con cui si combinano e si guidano le passioni della moltitudine pel servizio d’un sol uomo. I conquistatori Sciti, Attila e Gengis, superavano i rozzi lor nazionali nell’arte piuttosto che nel coraggio, e si può notare che le monarchie tanto degli Unni che de’ Mogolli furono inalzate da’ lor fondatori sulla base della popolare superstizione. Il miracoloso concepimento, che la credulità e la frode attribuirono alla vergine madre di Gengis, l’elevò sopra il livello della natura umana; e il nudo profeta, che in nome della Divinità l’investì dell’Impero della terra, infiammò il valore de’ Mogolli con un irresistibil entusiasmo1. Gli artifizi religiosi d’Attila non furono meno abilmente adattati al carattere del suo secolo e del suo paese. Era ben naturale, che gli Sciti adorassero con particolar devozione il Dio della guerra; ma siccome essi erano incapaci di formare o un’idea astratta, o un’immagine corporea, veneravano la lor tutelare Divinità sotto il simbolo d’una scimitarra di ferro2. Uno de’ pastori

  1. Abulpharag., Dynast. vers. Procock. p. 28l. Istoria genealogica de’ Tartari d’Abulghazi Bahader Kan part. III c. 15, part. IV. c. 3. Vita di Gengis-khan, di Petit de la Croix l. 1 c. 1, 6. Le relazioni de’ Missionari, che visitarono la Tartaria nel secolo XIII (Vedi il settimo volume dell’Istoria de’ viaggi) esprimono il linguaggio e le opinioni popolari. Gengis è chiamato il figlio di Dio ec.
  2. Nec Templum apud eos visitur, aut delubrum, ne tugurium quidem, culmo tectum cerni usquam potest; sed gladius Barbarico ritu humi figitur nudus, eumque ut Martem regionum, quas circumcircant praesulem verecundius colant. Ammian. Marcellin. XXXI. 2. con le dotte note del Lindenbrogio, e del Valesio.