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dell'impero romano cap. xxxiii. |
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tale occasione il nipote del Gran Teodosio avrebbe dovuto marciare in persona; ma i medici facilmente dissuasero il giovane Imperatore da un sì temerario e pericoloso disegno; e la condotta della spedizione d’Italia fu prudentemente affidata ad Ardaburio ed al suo figlio Aspar, che avevano già segnalato il loro valore contro i Persiani. Fu risoluto, che Ardaburio s’imbarcasse coll’infanteria, mentre Aspar, alla testa della cavalleria, conduceva Placidia e Valentiniano suo figlio, lungo le coste dell’Adriatico. La marcia della cavalleria fu eseguita con tale attiva diligenza, che sorprese, senza resistenza, l’importante città d’Aquileia, quando le speranze d’Aspar rimasero inaspettatamente confuse dalla notizia, che una tempesta avea disperso la flotta Imperiale, e che suo padre con due sole galere, era stato preso e condotto schiavo nel porto di Ravenna. Questo accidente, d’altronde, per quanto potesse parer disgraziato, facilitò la conquista dell’Italia. Ardaburio si servì, o piuttosto abusò della cortese libertà, che gli era permesso di godere, per ravvivare fra le truppe un sentimento di fedeltà e di gratitudine; ed appena la cospirazione fu giunta alla sua maturità, invitò, per mezzo di segreti avvisi, e sollecitò l’avvicinamento d’Aspar. Un pastore, che la popolare credulità trasformò in un angelo, guidò la cavalleria orientale per mezzo d’un segreto, e per quanto si credeva, impraticabil sentiero attraverso i pantani del Po: le porte di Ravenna, dopo una breve resistenza, s’aprirono; ed il tiranno senza difesa fu abbandonato alla mercè, o piuttosto alla crudeltà dei conquistatori. Gli fu prima tagliata la mano destra; e dopo essere stato esposto sopra un asino alla pubblica derisione, Giovanni fu decapitato nel Circo d’Aquileia.