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dell’impero romano cap. xxxi. | 229 |
concilj, dove i Principi ed i Magistrati sedevano mescolati co’ Vescovi, potevan esser liberamente dibattuti gl’importanti affari dello Stato e della Chiesa, composte le differenze, formate nuove alleanze, imposti i tributi, spesso concertate, e talvolta eseguite molte savie risoluzioni; e v’è motivo di credere che in occasione d’estremo pericolo, s’eleggesse col generale assenso de’ Brettoni un Pendragon, o Dittatore. Queste cure pastorali, così degne del carattere episcopale furono però interrotte dalla superstizione, e dallo zelo; ed il Clero Britannico di continuo s’affaticava a sradicare l’eresia Pelagiana, che esso abborriva come uno special disonore del proprio nativo paese1.
[A. 418] Egli è alquanto notabile, o piuttosto assai naturale, che la rivolta della Britannia e dell’Armorica dovesse introdurre un’apparenza di libertà nelle obbedienti Province della Gallia. In un Editto solenne2 ripieno delle più forti proteste di quel paterno affetto, che i Principi esprimon sì spesso, e sentono sì di rado, l’Imperatore Onorio promulgò la sua intenzione di convocare un’assemblea delle sette Province: nome particolarmente attribuito all’Aquitania ed all’antica Narbonese, che avevano da gran tempo cangiato la celtica rozzezza loro colle utili ed eleganti arti dell’Italia3. Arles, che era la sede del governo e del
- ↑ Si consulti l’Usserio, de Antiq. Eccl. Britt. cap. 8, 12.
- ↑ Vedi il testo corretto di questo editto come fu pubblicato dal Sirmondo (not. ad Sidon. Apollinar. p. 47). Incmaro di Reims, che assegna un luogo a’ Vescovi, ne aveva probabilmente veduto (nol nono secolo) una copia più perfetta. Dubos, Hist. crit. de la Monarchie Franc. Tom. 1. p. 241, 255.
- ↑ Dalla Notitia è chiaro, che le sette Province erano la