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dell’impero romano cap. xxxi. |
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dall’arrivo d’un’armata Italiana. Il nome d’Onorio, la proclamazione d’un legittimo Imperatore, sorprese i due contendenti partiti dei ribelli. Geronzio, abbandonato dalle proprie sue truppe, fuggì a’ confini della Spagna, e liberò il suo nome dall’obblivione, mediante il coraggio Romano, che sembrò che animasse gli ultimi momenti della sua vita. In tempo di notte, un gran corpo di perfidi suoi soldati circondò ed attaccò la casa di lui, che esso avea ben fortificata. La moglie, un valoroso amico, Alano di nazione, ed alcuni fedeli schiavi restarono sempre aderenti alla sua persona; ed ei fece uso con tanta fermezza ed abilità d’un gran magazzino di dardi e di frecce, che più di trecento assalitori perderono la vita nell’assalto. Gli schiavi, allorchè furon consumate tutte le armi da scagliare, allo spuntar del giorno fuggirono; e Geronzio, se non fosse stato ritenuto dall’amor coniugale, avrebbe potuto imitarli; ma finalmente i soldati, irritati da sì ostinata resistenza, posero il fuoco da tutte le parti alla casa. In questa fatal estremità condiscese alla richiesta del suo Barbaro amico, tagliando ad esso la testa. La moglie di Geronzio, che lo scongiurò a non lasciarla in una vita di miseria e di vergogna, presentò volentieri il collo alla sua spada; e si terminò la tragica scena con la morte del Conte medesimo, che dopo tre colpi senz’effetto, trasse un corto pugnale, e se l’immerse nel cuore1. L’abbandonato Massimo, ch’egli aveva rivestito della porpo-
- ↑ Non si comprende come Sozomeno abbia lodato questo atto di disperazione. Egli osserva (p. 379), che la moglie di Geronzio era Cristiana; e che la morte di essa fu degna della sua religione, e di fama immortale.