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comune opinione della sua innocenza e della sua povertà. Passarono più di quattro anni dalla prospera invasione fatta dell’Italia dalle armi d’Alarico, fino alla volontaria ritirata de’ Goti sotto la condotta d’Adolfo suo successore; ed in tutto quel tempo essi regnarono senza contrasto in un paese che, secondo l’opinion degli antichi, aveva unito in sè tutte le varie prerogative della natura e dell’arte. La felicità, in vero, a cui era giunta l’Italia nel fortunato secolo degli Antonini, era a grado a grado scemata col declinar dell’Impero. Ma i frutti di una lunga pace perirono nelle rozze mani dei Barbari; ed i medesimi non furon capaci di gustare le più eleganti finezze del lusso, che erano state preparate per uso dei molli ed ingentiliti Italiani. Ogni soldato però esigeva una buona porzione di sostanziali dovizie, di grano e di bestiame, d’olio e di vino, che giornalmente si raccoglieva e si consumava nel campo Gotico: ed i principali Uffiziali insultavano i giardini e le ville, abitate una volta da Lucullo e da Cicerone, lungo le deliziose coste della Campania. I tremanti loro schiavi, i figli e le figlie dei Senatori Romani, presentavano, in coppe d’oro e di gemme, abbondanti dosi di vino Falerno ai superbi vincitori, che stendevano le rozze lor membra all’ombra dei platani1, artifiziosamente disposti in

    l. XII. c. 3, Agostino de Civ. Dei l. I. c. 10, Baronio, Annal. Eccles. an. 410. n. 45, 46.

  1. Il platano era un albero favorito degli antichi dai quali fu propagato, per causa dell’ombra, dall’Oriente fino alla Gallia. (Plin., Hist. Nat. XII. 3, 4, 5). Questo scrittore fa menzione di alcuni Platani di enorme grandezza: uno di essi nell’Imperial villa di Velletri, che Caligola chiamava il suo nido, aveva tali rami, che eran capaci di contenere una gran tavola,