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dante della cavalleria e dell’infanteria, del Questore Potamio, e di Giuliano Capo dei Notari. Acconsentirono questi in nome del lor Sovrano a riconoscere per legittima l’elezione del suo competitore, ed a dividere fra’ due Imperatori le Province dell’Occidente. Le proposizioni loro furono rigettate sdegnosamente; e fu aggravato il rifiuto dall’insultante clemenza d’Attalo, il quale condiscese a promettere, che se Onorio avesse immediatamente dimesso la porpora, gli avrebbe permesso di passare il resto della sua vita nel pacifico esilio di qualche Isola remota1. La situazione in vero del figlio di Teodosio pareva così disperata a quelli, che erano i meglio informati delle sue forze e speranze, che Giovio e Valente, l’uno ministro e l’altro Generale di esso, gli mancaron di fede, vergognosamente abbandonarono la causa cadente del loro benefattore, ed impegnarono la perfida opera loro al servizio del suo più fortunato rivale. Onorio, sorpreso da tali esempi di domestico tradimento, tremava all’avvicinarsi d’ogni servo ed all’arrivo d’ogni corriere. Temeva egli i nemici segreti, che potevano esser nascosti nella sua capitale, nel suo palazzo, nella sua medesima camera; ed eran pronte alcune navi nel porto di Ravenna per trasportare l’abbandonato Monarca negli stati dell’Infante suo nipote, l’Imperator dell’Oriente.

  1. Egli spinse la sua insolenza a tal segno, che dichiarò, che avrebbe mutilato Onorio avanti di mandarlo in esilio. Ma quest’asserzione di Zosimo vien distrutta dalla più imparziale testimonianza d’Olimpiodoro, che attribuisce tal vergognosa proposizione, la quale fu assolutamente rigettata da Attalo, alla viltà, e forse alla perfidia di Giovio.