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dell’impero romano cap. xxxi. | 147 |
me di sordidi e stracciati plebei senza scarpe e senza mantello, che andavano tutto il giorno vagando per le strade o nel foro a udir nuove, o a far dispute; e che dissipavano in stravaganti giuochi la miserabile sussistenza delle mogli e dei figli; e consumavano le ore della notte in oscure taverne e ridotti, intesi a soddisfare una grossolana e volgare sensualità1.
Ma il più vivo e splendido divertimento dell’oziosa moltitudine dipendeva dalla frequente rappresentazione dei pubblici giuochi e spettacoli. La pietà dei Principi Cristiani aveva soppresso i crudeli combattimenti dei gladiatori; ma il Popolo Romano risguardava tuttavia il circo come la propria casa, il suo tempio, e la sede della Repubblica. L’impaziente moltitudine correva allo spuntar del giorno a prendersi il posto, e v’eran molti, che passavano senza dormire ansiosamente la notte ne’ vicini portici. Dalla mattina alla sera, senza curare il sole o la pioggia, gli spettatori, che alle volte ascendevano al numero di quattrocentomila, stavano in seria attenzione con gli occhi fissi nei cavalli e nei cocchieri, e con gli animi agitati dalla speranza o dal timore pel successo di quei colori che favorivano; e pareva che la felicità di Roma dipendesse dall’evento d’una corsa2. L’istesso smoderato
- ↑ Ammiano (l. XIV. c. 6, e lib. XXVIII. c. 4) dopo aver descritto il lusso e l’orgoglio dei Nobili Romani, espone con uguale indignazione i vizi e le follie della plebe.
- ↑ Gioven., Satir. XI. 19l. l’espressioni dell’Istorico Ammiano non son meno forti ed animate di quelle del satirico; e tanto l’uno che l’altro dipingono al vivo. Il numero delle persone, che il Circo Massimo era capace di contenere, è preso
l’ingresso nelle medesime, era la quarta parte d’un asso, circa un ottavo d’un soldo Inglese.