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dell'impero romano cap. xxxi. 141

ganze del lusso, riducono spesso i Grandi ad usare i più umilianti espedienti. Quando desiderano di ottenere un imprestito, impiegano il basso e supplichevole stile dello schiavo nella commedia; ma quando è richiesto loro il pagamento, prendono la maestosa e tragica declamazione dei nipoti d’Ercole. Se di nuovo è domandato loro il danaro, facilmente trovano qualche fido calunniatore, abile a sostenere un’accusa di veleno o di magia contro l’insolente creditore, il quale è raro che sia liberato dalla carcere, se non abbia prima sottoscritto una ricevuta di tutto il debito. Questi vizi, che macchiano il moral carattere de’ Romani, son congiunti ad una puerile superstizione, che disonora il loro intelletto. Prestano orecchio con fiducia alle predizioni degli aruspici, che pretendono di leggere nelle viscere delle vittime i segni della futura grandezza e prosperità; e vi son molti, che non ardiscono di bagnarsi, di desinare o di comparire in pubblico, finattantochè non hanno diligentemente consultato, secondo le regole dell’astrologia, la situazione di Mercurio o l’aspetto della Luna1. Ed è ben singolare, che spesse volte si scuopre tal vana credulità in quegli stessi profani Scettici, che empiamente dubitano, o negano l’esistenza d’un Potere Celeste„.

Nelle città popolate, che sono la sede del commercio e delle manifatture, gli abitanti di mezza condizione, che traggono la lor sussistenza dalla destrezza

  1. Macrobio, amico di quei nobili Romani, risguardava le stelle come la causa o almeno i segni de’ futuri eventi (de Somn. Scip., l. I. c. 19. p. 68).