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128 | storia della decadenza |
tenute de’ Romani, secondo la natura e le circostanze di esse, o venivano coltivate da’ loro schiavi, o si davano per una certa convenuta somma annua a qualche industrioso affittuale. Gli Scrittori economici antichi raccomandano caldamente il primo metodo, qualora possa praticarsi comodamente; ma se per la sua distanza o grandezza il luogo non fosse sotto la vista immediata del padrone, preferiscono l’attiva cura d’un vecchio ereditario fittaiuolo, attaccato a quel fondo ed interessato nel prodotto di esso, alla mercenaria amministrazione d’un negligente e forse infedele fattore1.
I nobili opulenti d’una immensa capitale, che non erano mai eccitati dal desiderio della gloria militare, e rade volte impegnati nelle occupazioni del governo civile, naturalmente consumavano il loro tempo negli affari e ne’ divertimenti della vita privata. A Roma era sempre stato tenuto a vile il commercio; ma i Senatori fino da’ primi tempi della Repubblica accrebbero il loro patrimonio, e moltiplicarono i loro clienti con la pratica lucrosa dell’usura; e le antiquate leggi venivan deluse o violate per la reciproca inclinazione ed interesse di ambe le parti2. Doveva sempre tro-
- ↑ Volusio, ricco Senatore (Tacit., Annal. III. 30), preferiva sempre gli affittuali nativi del luogo. Columella, che da esso ebbe questa massima, discorre molto giudiziosamente su tal materia. (De re rustica, lib. 1. c. 7. p. 408 edit. Gesner. Lips. 1735).
- ↑ Il Valesio (ad Ammian., XIV. 6 ) ha provato coll’au-
egli aveva prestato ad un alto interesse, suscitò una ribellione nella Britannia (Dion. Cas., l. 62. p. 1003). Secondo la congettura di Gale (Itinerar. d’Antonino in Britann., p. 92) il medesimo Faustino godeva una possessione vicino a Bury in Suffolk, ed un’altra nel regno di Napoli.