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smise all’Imperatore dell’Occidente una lunga serie di promesse, di spese, e di domande; richiese l’immediata soddisfazione di esse, e chiaramente intimò le conseguenze d’un rifiuto. Se nondimeno la sua condotta era ostile, decente e rispettoso n’era il linguaggio. Si professava umilmente amico di Stilicone, e soldato d’Onorio; offeriva la sua persona e le sue truppe per marciar senza indugio contro l’usurpator della Gallia; e chiedeva, come una permanente dimora per la nazione Gotica, il possesso di qualche vacante Provincia dell’Impero occidentale.

[A. 408] I politici e segreti trattati di due Ministri, che procuravano d’ingannarsi l’un l’altro, e d’imporre al Mondo, avrebbero per sempre dovuto restar nascosti nell’impenetrabile oscurità del gabinetto, se i dibattimenti d’una popolare assemblea non avesser gettato qualche raggio di luce sulla corrispondenza d’Alarico e di Stilicone. La necessità di trovar qualche artificial sostegno ad un governo, che per un principio non già di moderazione ma di debolezza erasi ridotto a trattare coi propri sudditi, aveva insensibilmente fatto risorgere l’autorità del Senato Romano; ed il Ministro d’Onorio consultava rispettosamente il consiglio legislativo della Repubblica. Stilicone adunò il Senato nel palazzo dei Cesari; rappresentò in una studiata orazione lo stato attuale degli affari; propose le domande del Re Goto, e sottopose alla loro considerazione la scelta della pace o della guerra. I Senatori, come se ad un tratto si fossero svegliati da un sonno di quattrocent’anni, parvero in quest’importante occasione

    vi gettano una dubbiosa e pallida luce, ed Orosio (l. VII. c. 38. p. 571) è abbominevolmente parziale.