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dell'impero romano cap. xxx. |
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rono amplificati dalla voce dell’adulazione, quasi splendide e decisive vittorie, che la riunione ed insolenza del nemico ben presto ridusse al giusto loro valore. Le negoziazioni, che ei fece, ottennero una breve e precaria tregua; e se alcune tribù de’ Barbari furono impegnate dalla liberalità dei suoi doni e delle promesse ad intraprender la difesa del Reno, tali dispendiosi ed incerti trattati, invece di ristabilire il primiero vigore della frontiera Gallica, non servirono che a svergognare la maestà del Principe, ed a esaurire quel che era avanzato dei tesori della Repubblica. Insuperbito ciò nonostante di quest’immaginario trionfo, il vano liberatore della Gallia s’avanzò nelle Province del Mezzodì ad incontrare un più pressante e personale pericolo. Fu dato ordine a Saro il Goto di portare la testa del ribelle a’ piedi dell’Imperatore Onorio, ed indegnamente si consumaron le forze della Britannia e dell’Italia in questa contesa domestica. Dopo d’aver perduto i due più bravi suoi Generali, Giustiniano e Navigaste, il primo dei quali fu ucciso in battaglia, e l’altro in un pacifico congresso a tradimento, Costantino si fortificò dentro le mura di Vienna. La piazza fu attaccata senza effetto per sette giorni; e l’esercito Imperiale, in una precipitosa ritirata, soffrì l’ignominia di comprarsi un passaggio sicuro dagli stranieri e banditi delle alpi1. Quelle montagne allora separavan gli Stati dei due rivali Monarchi; e le fortificazioni della doppia frontiera erano
- ↑ Il nome, che Zosimo dà loro, è Bagaudae. Forse meritavano un carattere meno odioso (Vedi Dubos Hist. Crit. Tom. I. p. 203 e quest’Istoria). Noi avremo occasione di sentirne parlare di nuovo.