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storia della decadenza |
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l’assassino del proprio padre e col nemico della sua patria. Para, collo specioso pretesto di deliberare coll’Imperatore intorno ai comuni loro interessi, fu indotto a discendere dalle montagne dell’Armenia, dove il suo partito era in armi, e ad affidare la propria indipendenza e salute alla discrezione d’una perfida Corte. Il Re dell’Armenia (giacchè tale appariva egli ai propri occhi, ed a quelli della sua nazione) fu ricevuto coi dovuti onori da’ Governatori delle Province per le quali passava; ma quando arrivò a Tarso nella Cilicia, sotto vari pretesti fu arrestato il progresso del suo viaggio; si guardavano con rispettosa vigilanza i suoi movimenti; ed appoco appoco s’accorse d’esser prigioniero in balìa dei Romani. Egli soppresse allora lo sdegno, coprì i suoi timori, e dopo d’essersi preparata segretamente la fuga, montò a cavallo con trecento de’ suoi fedeli seguaci. L’uffiziale, che stava alla porta del suo appartamento, immediatamente partecipò tal fuga al Consolare della Cilicia, che lo sopraggiunse nei sobborghi, e tentò senza effetto di dissuaderlo dal proseguire quel temerario e pericoloso disegno. Fu ordinato ad una legione d’inseguire il fuggitivo Reale; ma l’inseguimento dell’infanteria non poteva dare gran fastidio ad un corpo di cavalleria leggiera, e dopo il primo nuvolo di dardi che furono scagliati nell’aria, precipitosamente si ritirarono alle porte di Tarso. Dopo una continua marcia di due giorni e due notti, Para giunse co’ suoi Armeni alle sponde dell’Eufrate; ma il passaggio del fiume, che doverono traversare a nuoto, portò seco qualche dilazione e qualche perdita. Il paese era in armi; e le due strade, non separate che da uno spazio di tre miglia, erano state prese da mille arcieri