84 |
storia della decadenza |
|
dosio, che avea fatto un’inflessibile risoluzione di non terminare la guerra che con la morte del tiranno, e d’involger nella rovina di lui qualunque nazione Affricana, che avesse ardito di sostenerne la causa. Alla testa d’un piccolo corpo di truppe, che rare volte eccedevano il numero di tremila cinquecento uomini, il Generale Romano avanzavasi con una costante prudenza, senza temerità e senza timore, nel cuore d’un paese, in cui veniva attaccato alle volte da eserciti di ventimila Mauritani. La fermezza della sua disciplina disordinava l’irregolarità dei Barbari; essi erano sconcertati dalle opportune ed ordinate sue ritirate; restavan continuamente delusi dagli ignoti ripieghi dell’arte militare, e sentirono e confessarono la giusta superiorità che aveva sopra di loro il Capitano d’una incivilita nazione. Allorchè Teodosio entrò negli estesi dominj d’Igmazen Re degli Isaflensi, l’altiero Selvaggio domandò in termini di diffidenza il suo nome, e l’oggetto di sua spedizione: Io sono (replicò il forte e non timido Conte) io sono il Generale di Valentiniano, Signore del Mondo, che qua mi ha spedito a perseguitare e punire un disperato ladrone. Dàllo subito nelle mie mani; e sia certo, che se non obbedirai agli ordini dell’invincibile mio Sovrano, tu ed il popolo, su cui regni, sarete totalmente distrutti. Tosto che Igmazen fu convinto, che il suo nemico avea forza e risolutezza capace d’eseguire quella fatal minaccia, consentì a comprare una pace necessaria col sacrifizio d’un reo fuggitivo. Le guardie, che furon poste alla custodia della persona di Firmo, gli tolsero qualunque speranza di fuga; ed il Mauritano Tiranno, dopo d’aver estinto col vino il sentimento del pericolo, deluse l’insultante