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dell'impero romano cap. xxv. 47

non si è creduto in dovere di porre a contrasto la tranquillità dell’Occidente con la crudele persecuzione dell’Oriente1. Secondariamente, per quanto vogliam prestar fede alle incerte e lontane relazioni, si può distintamente conoscere il carattere o almeno la condotta di Valente negli affari che trattò personalmente coll’eloquente Basilio Arcivescovo di Cesarea, che era succeduto ad Atanasio nel maneggio della causa spettante alla Trinità2. Se ne fece la circostanziata narrazione dagli amici ed ammiratori di Basilio; e spogliata che sia da un grossolano abbigliamento di rettorica e di miracoli, resteremo sorpresi dall’inaspettata dolcezza del tiranno Arriano, che ammirò la fermezza del suo animo, o temè, facendogli violenza, una rivoluzione generale nella provincia della Cappadocia. L’Arcivescovo, che sosteneva con inflessibile alterigia3 la verità delle sue opinioni e la

  1. Questa riflessione è così ovvia e forte, che Orosio (l. VII. c. 32. 33.) differisce la persecuzione fino ad un tempo posteriore alla morte di Valentiniano. Socrate dall’altra parte, suppone (l. III. c. 21.) che fosse quietata da una filosofica orazione, che pronunziò Temistio l’anno 374. (Orat. XXII. p. 154. solamente in Latino). Tali contraddizioni diminuiscono l’evidenza ed abbreviano il termine della persecuzione di Valente.
  2. Il Tillemont, da me seguitato e compendiato, ha tratto (Mem. Eccles. Tom. VIII. p. 153-167.) le più autentiche circostanze dai Panegirici dei due Gregori, l’uno fratello e l’altro amico di Basilio. Le lettere di Basilio medesimo (Dupin Bibl. Eccles. Tom. II. p. 155-180.) non presentano l’immagine d’una persecuzione molto viva.
  3. Basilius Caesarensis Episcopus Cappadociae clarus habetur. . . qui multa continentiae et ingenii bona uno superbiae malo perdidit. Questo irriverente passo perfettamente combina