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dell'impero romano cap. xxv. 35

tiniano collerico1. Il principio dominante dell’amministrazione del primo era un ansioso riguardo per la sua personal sicurezza. Da privato egli avea con tremante rispetto baciato la mano dell’oppressore; e quando salì sul trono, con ragione aspettava che gli stessi timori, di cui egli avea portato il giogo, dovessero assicurargli la paziente sommissione del popolo. I favoriti di Valente ottennero, mediante il privilegio della rapacità e della confiscazione, quella ricchezza che non avrebber potuto ottenere dalla sua economia2. Gli insinuavano essi con persuadente eloquenza, che in ogni caso di ribellione il sospetto equivale alla prova; che il potere suppone l’intenzione del delitto; che l’intenzione non è meno colpevole dell’atto; e che un suddito non dee più vivere, qualora la sua vita può minacciare la salute, o turbare il riposo del suo Sovrano. Fu alle volte ingannato il giudizio di Valentiniano, e si abusò della sua confidenza; ma egli avrebbe con uno sprezzante sorriso imposto silenzio ai delatori, se avessero preteso di porre in agitazione la sua fortezza con rappresentargli il pericolo. Essi lodavano l’inflessibile amore che aveva per la giustizia; e nell’esercizio di essa era l’Imperatore facilmente indotto a risguardar la clemenza come una debolezza, e la passione come una virtù. Finattanto che non ebbe a contendere che con gli

  1. Cum esset ad acerbitatem naturae calore propensior... poenas per ignes augebat et gladios. Ammiano XXX. 8. ved. XXVII. 7.
  2. Ho trasferito la taccia d’avarizia da Valente a’ suoi servi. Questa passione appartiene più propriamente ai Ministri che ai Re, nei quali per ordinario viene estinta dal dominio assoluto.