|
dell'impero romano cap. xxviii. |
373 |
la circonferenza di sedici piedi: e le gran pietre, delle quali venivan composte, erano stabilmente collegate fra loro con piombo e ferro. Invano erasi adoperata l’opera dei più forti ed acuti strumenti. Bisognò ricorrere all’opera di distruggere i fondamenti delle colonne, che caddero a terra subito che furono consumati dal fuoco i pali di legno, che per un tempo vi si eran posti; e ne vengono descritte le difficoltà sotto l’allegoria d’un nero demonio, che ritardava, quantunque non potesse disfare, le operazioni dei macchinisti Cristiani. Superbo della vittoria, Marcello si portò in persona sul campo contro la Potestà delle tenebre; marciava una copiosa truppa di soldati e di gladiatori sotto l’Episcopale stendardo; e l’un dopo l’altro s’attaccarono i villaggi ed i tempj di campagna della Diocesi d’Apamea. Dovunque temevasi qualche resistenza o pericolo, il Campion della fede, che per essere storpiato non potea fuggire, nè combattere, si poneva ad una conveniente distanza, oltre la portata dei dardi. Ma questa prudenza divenne cagione della sua morte: fu egli sorpreso ed ucciso da un corpo di esacerbati villani; ed il Sinodo della Provincia senza esitare pronunziò, che il santo Marcello aveva sacrificato la propria vita per la causa di Dio. Nel sostener questa causa si distinsero per la diligenza e lo zelo i Monaci, che uscirono con precipitosa furia del deserto. Meritarono essi l’inimicizia dei Pagani; e ad alcuni di loro poterono applicarsi i rimproveri d’avarizia e d’intemperanza: d’avarizia, che soddisfacevano col sacro saccheggio, e d’intemperanza, alla quale si abbandonavano a spese del popolo, che follemente ammirava in essi i laceri panni,