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366 | storia della decadenza |
gani concordemente imputate alla nuova religione di Cristo e di Costantino.
Ma le speranze di Simmaco restaron più volte deluse dalla ferma e destra opposizione dell’Arcivescovo di Milano, che fortificò gli Imperatori contro la fallace eloquenza dell’Avvocato di Roma. In questa controversia, Ambrogio condiscende a parlar da filosofo, e a domandare con qualche disprezzo, perchè si credesse necessario d’introdurre un’immaginaria ed invisibile potestà, come causa di quelle vittorie, che sufficientemente si poteano spiegare col valore e con la disciplina delle legioni? Giustamente deride l’assurda reverenza per l’antichità, che non poteva produrre altro effetto che quello di scoraggiare i progressi delle arti, e far ricadere il genere umano nella sua originaria barbarie. Quindi a grado a grado innalzandosi ad un più sublime e teologico tuono, pronunzia che il solo Cristianesimo contiene la dottrina di verità e di salute, e che ogni sorta di politeismo conduce i suoi delusi seguaci per la via dell’errore all’abisso della eterna perdizione1. Argomenti di tal sorta, suggeriti da un Vescovo favorito, avean forza d’impedire
- ↑ Vedi Ambrogio Tom. II. ep. 17. 18. p. 825-833. La prima di queste lettere è una breve precauzione; la seconda è una replica formale alla domanda o al libello di Simmaco. Le stesse idee sono espresse più copiosamente nella poesia, seppure può meritar questo nome, di Prudenzio, il quale compose i due suoi libri contro Simmaco (nell’anno 404) mentre viveva ancora quel Senatore. Egli è molto stravagante, che Montesquieu (Considerat. c. 19. T. III p. 487. ec.) trascurasse i due nemici dichiarati di Simmaco, e si divertisse a spaziare nelle più distanti e indirette confutazioni di Orosio, di S. Agostino e Salviano.