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dell'impero romano cap. xxvii. |
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e meno disposti a sostener le fatiche militari: si dolevano essi del peso dell’armatura, che di rado portavano; ed ottennero in seguito la permissione di deporre le corazze e gli elmetti. I pesanti dardi dei loro maggiori, la spada corta, ed il formidabile pilo, che avea soggiogato il Mondo, caddero insensibilmente dalle lor deboli destre. Siccome non è compatibile l’uso dello scudo con quello dell’arco, essi marciavano mal volentieri nel campo; condannati a soffrire o il dolore delle ferite o l’ignominia della fuga, erano sempre disposti a preferire l’alternativa più vergognosa. La cavalleria dei Goti, degli Unni e degli Alani aveva sentito il benefizio, ed adottato l’uso delle armi difensive; ed essendo eccellenti nel maneggiare le armi da scagliare, facilmente opprimevano le tremanti e nude legioni, che avevan le teste ed i petti esposti senza difesa alle frecce dei Barbari. La perdita degli eserciti, la distruzione delle città, ed il disonore del nome Romano indussero dipoi inutilmente i successori di Graziano a ristabilir l’uso degli elmi e delle corazze nell’infanteria. Gli snervati soldati abbandonarono la propria e la pubblica difesa; e la pusillanime loro indolenza può risguardarsi come l’immediata cagione della caduta dell’Impero1.
- ↑ Veget. de re milit. l. I. c. 10. La serie delle calamità, che egli nota, ci costringe a credere, che l’Eroe a cui dedica il suo libro, sia l’ultimo ed il meno glorioso dei Valentiniani.