Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/333


dell'impero romano cap. xxvii. 329

da principio rispettoso linguaggio chiedeva la riforma de’ propri aggravj. Essi furono appoco appoco infiammati dall’orgoglio degli altieri governatori, che trattavano i loro lamenti di colpevole resistenza; il satirico loro sale degenerò in aspre e rabbiose invettive; e le invettive del popolo insensibilmente dalle potestà subordinate del governo giunsero ad attaccare il sacro carattere dell’Imperatore medesimo. Il furore, provocato da una debole opposizione, si scaricò sulle immagini della Famiglia Imperiale, che si erano innalzate come oggetti di pubblica venerazione nei luoghi più cospicui della città. Furono insolentemente gettate a terra dai loro piedestalli le statue di Teodosio, di suo padre, di Flaccilla sua moglie, dei due suoi figli Arcadio ed Onorio; queste furono spezzate o strascinate con disprezzo per le strade: e le indegnità commesse contro le rappresentazioni della Maestà Imperiale, sufficientemente spiegavano gli empj e ribelli desiderj della plebe. Il tumulto fu quasi subito soppresso dall’arrivo d’un corpo d’arcieri; ed Antiochia ebbe agio di riflettere alla natura ed alle conseguenze del suo delitto1. Il Governatore della provincia, com’esigeva il suo uffizio, mandò all’Imperatore un fedele ragguaglio di tutto il fatto; mentre i cittadini tremanti affidaron la confessione del delitto e le proteste del pentimento allo zelo di Flaviano loro

  1. Tanto i Cristiani che i Pagani erano d’accordo nel credere che i demonj suscitato avessero la sedizione d’Antiochia. Si facea veder per le strade, dice Sozomeno (l. VII. c. 23), una donna gigantesca con una sferza in mano. Un vecchio, dice Libanio (Orat. XII. p. 396) si trasformò in giovane, e quindi in fanciullo.