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318 | storia della decadenza |
mani dell’assassino medesimo. Massimo entrò in Milano trionfante; e se il saggio Arcivescovo ricusò una pericolosa e rea connessione coll’usurpatore, potè almeno indirettamente contribuire al buon successo delle sue armi con inculcare dal pulpito il dovere della rassegnazione, piuttosto che quella della resistenza1. L’infelice Giustina giunse salva in Aquileia; ma non si fidò delle fortificazioni di quella città, temè l’evento d’un assedio, e risolvè d’implorare la protezione del Gran Teodosio, di cui la virtù e la forza eran celebri in ogni parte dell’Occidente. Fu segretamente preparato un vascello per trasportare l’Imperial famiglia, che precipitosamente imbarcossi in uno degli oscuri porti di Venezia o dell’Istria, traversò tutta l’estensione de’ mari Adriatico e Jonico, girò attorno all’estremo promontorio del Peloponeso, e, dopo una lunga ma fortunata navigazione, si riposò nel porto di Tessalonica. Tutti i sudditi di Valentiniano abbandonarono la causa di un Principe che colla sua ritirata gli aveva assoluti dal dovere di fedeltà; e se la piccola città d’Emona in Italia non avesse preteso d’arrestare la non gloriosa vittoria di Massimo, egli avrebbe ottenuto senza verun contrasto l’intero possesso dell’Impero d’Occidente.
[A. 387] In luogo d’invitare i reali suoi ospiti nel palazzo di Costantinopoli, Teodosio ebbe delle ignote ragioni di farli restare a Tessalonica; queste ragioni però non provenivano da disprezzo nè da indifferenza, poichè andò immediatamente a visitarli in quella città ac-
- ↑ Il Baronio (an. 387. n. 63) applica a questo tempo di pubblica calamità alcuni de’ sermoni penitenziali dell’Arcivescovo.